L’esternalizzazione delle attività d’impresa

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L’esternalizzazione delle attività d’impresa va intesa come una modalità di attuazione delle strategie di sviluppo dimensionale e, se attuata in ambito internazionale, va considerata come una modalità di attuazione delle strategie di internazionalizzazione (tipologia concorrenziale e no-trade).

Per scoprire cosa si intende per esternalizzazione e come questa può essere utile nel processo produttivo della vostra azienda, non vi resta che continuare a leggere l’articolo.

L’esternalizzazione è diversa dall’outsourcing, fin dall’etimologia:

  • outsourcing: il significato di outsourcing letteralmente è cercare all’esterno risorse che non si posseggono;
  • esternalizzazione: il significato di esternalizzazione è far uscire dall’impresa un’attività già incrementata.

Mentre il primo concetto esplica una situazione ancora in divenire, il secondo concetto esplica una situazione già attuata. L’outsourcing non richiede alcun incremento di una data attività all’interno dell’impresa, l’impresa parte con l’idea di acquisire l’attività dall’esterno.

Questa distinzione, a prima apparenza un po’ ostica, può essere più facilmente comprensibile con un esempio:

un’impresa che produce borse, durante la sua attività (già in corso) decide di delocalizzare la produzione di una specifica componente delle borse all’esterno, affidandola a terzisti internazionali. In questo caso sarà legittimo parlare di esternalizzazione.

Altro esempio:

un’impresa che produce dolci decide di espandere il proprio mercato anche alla produzione di borse, anche se non ha mai svolto quest’attività all’interno della propria azienda: in questo caso si parlerà di outsourcing, poiché la loro ricerca è fatta dall’esterno.

Dunque in economia e nell’organizzazione aziendale, l’esternalizzazione è l’insieme delle pratiche adottate dalle imprese o dagli enti pubblici di ricorrere ad altre imprese per lo svolgimento di alcune fasi del proprio processo produttivo o fasi dei processi di supporto. Il ritorno delle fasi del processo produttivo all’interno dell’azienda (in-house) sono chiamate backsourcing.

La differenza tra esternalizzazione e outsourcing

La letteratura economica tende spesso a confondere i due termini, che si assomigliano, ma presentano anche sostanziali differenze. La differenza fondamentale è che nell’esternalizzazione prima di delocalizzare (o esportare) un’attività produttiva, quella stessa veniva prima fatta in azienda, al contrario nell’outsourcing quella data attività non è mai stata fatta in azienda e viene cercata all’esterno.

La storia dell’esternalizzazione

L’esternalizzazione delle attività della catena del valore non è un fenomeno nuovo, ma ha origini pregresse. Già dagli anni ’80 venivano sottoscritti contratti di subfornitura; questi prevedevano la lavorazione di prodotti non destinati direttamente al committente di una fornitura, ma ad un’azienda intermedia che aveva acquisito la commessa.

Con questa tipologia di contratti l’imprenditore si impegnava ad effettuare – per conto di un’impresa committente – lavorazioni su prodotti semilavorati o su materie prime forniti dalla stessa committente; oppure si impegnava a fornire all’impresa prodotti o servizi destinati ad essere inglobati o comunque utilizzati nell’ambito dell’attività economica del committente o nella produzione di un bene complesso, in conformità di progetti esecutivi, conoscenze tecniche e tecnologiche, modelli o prototipi forniti dall’impresa al committente.

Con l’avvento delle nuove tecnologie che hanno stravolto quasi ogni aspetto (dai rapporti interpersonali al modo di fare impresa) questa tipologia di contratto è risultata non più soddisfacente per i bisogni nuovi e sempre più complessi delle imprese.

Un esempio in questo senso è dato dagli impianti a capacità fissa, quegli impianti che possono produrre ad una sola e forzata capacità produttiva. Dal punto di vista dei costi questi non presentavano problemi poiché generavano un numero di sunk cost (costi fissi, correlati alla non adattabilità e flessibilità degli impianti), ma anche dal punto di vista di acquisizione di competenze, in quanto essendo processi difficilmente replicabili l’acquisizione di conoscenze risultava alquanto difficile.

Ora con gli impianti flessibili basati sulle nuove tecnologie informatiche è più facile replicare la produzione in un’azienda. Per questi motivi lo sviluppo tecnologico ha aumentato la concorrenza tra le imprese, dando il via ad una gara competitiva i cui punti fermi sono:

  1. puntare sull’efficienza;
  2. ridurre i costi;
  3. concentrare la propria attenzione sulle attività core non replicabili, così da non creare competenze distintive.

Questo nuovo orientamento ha portato le imprese ad esternalizzare le attività no-core (o le attività mature). Tramite la delocalizzazione della produzione infatti l’impresa riesce a ridurre i costi sommersi, potendo di conseguenza focalizzare le risorse sulle attività core; riesce ad acquisire conoscenze specialistiche relative appunto alle core competence e ad acquisire, di conseguenza, competenze distintive.

Questo processo è fondamentale soprattutto per le conglomerate. In economia per conglomerato si intende una grande compagnia divisa in settori che si occupano di affari diversi, spesso del tutto diversi tra loro. Le conglomerate (le imprese che hanno diversificato in ambito conglomerale la loro attività) hanno una complessità organizzativa maggiore rispetto ad un’impresa che si diversifica in modo concentrico e questa struttura richiede ovviamente maggiori costi.

Per la riduzione di questi costi è a volte opportuno esternalizzare quanto è più possibile le attività non strategicamente rilevanti. La prima impresa multinazionale che ha esternalizzato le attività è stata Kodak, che effettuò contratti di outsourcing con IBM.

Quali sono le attività più esternalizzate

Tra le attività che vengono maggiormente esternalizzate ai primi posti troviamo la logistica e la ricerca e sviluppo. Nelle imprese che non hanno come attività core (impresa manifatturiera, ad esempio) la ricerca e sviluppo corrisponde in questo caso al design. Il design è in realtà un’attività core, che però viene esternalizzata da molte imprese. Tuttavia molte imprese l’esternalizzano: ed è in questo caso che iniziano i problemi.

Per rendere più chiara la spiegazione partiamo con un esempio: prendiamo il caso di un’impresa manifatturiera che usi la tarsia (la nota tecnica decorativa che combina pezzetti di marmo o di legno secondo vari disegni) nella decorazione di cofanetti. Queste imprese hanno esternalizzato la pratica di ricerca e lo sviluppo, ossia il design, acquistando i disegni da un unico fornitore. La gara competitiva può essere in questo caso vinta con i cofanetti di legno.

Ora al pericolo di un’imitazione più facile da parte degli altri e di un deterrente per l’acquisizione di vantaggi competitivi, esternalizzando il provider non è detto che questo venda il proprio output solo all’impresa, ma che la possa vendere anche ad altri. In questo modo può nascere all’interno dell’impresa una sindrome, quella del not invented here (non creato da noi). Si crea quindi un senso di frustrazione all’interno dell’impresa, in quanto alcuni addetti non si vedono come creativi. Ed è proprio questo senso di frustrazione che porta alla nascita di alcuni conflitti intra organizzativi.

Dunque la ricerca e lo sviluppo sono attività particolari: non si può esternalizzare facilmente, ma bisogna capire quali sono i pericoli che possono nascere da quest’azione.

I benefici dell’esternalizzazione quindi sono:

  1. focalizzazione sulle attività core;
  2. acquisizione di conoscenze sempre di livello superiore sull’attività core;
  3. acquisizione di un livello più elevato di specializzazione: ci si specializza nelle attività core e dunque si acquisiscono competenze specialistiche e competenze distintive.

Che ruolo ha l’esternalizzazione sul piano internazionale

Come già espresso più in alto nel post, l’esternalizzazione non è un fenomeno recente e lo dimostrano anche la vastità degli studi svolti su questo fenomeno. Nel 1982 il professor Varaldo sosteneva che il decentramento della produzione (l’esternalizzazione per l’appunto) rappresentava una via pressoché obbligata per stare al passo con il progresso tecnologico.

Gli effetti centrifughi che ne derivavano erano costituiti da una fitta rete di forme organizzative (rapporti di sub-fornitura e relazioni di partnership) intermedie tra mercato e gerarchia. In particolare le imprese statunitensi cominciarono massicciamente a porsi il dilemma del sourcing, vale a dire di trovare la via migliore per l’approvvigionamento dei fattori e dei servizi.

Il problema riguardava ogni settore ma era particolarmente sentito per l’area dell’Information System (IS); i processi di esternalizzazione, parziale o totale, dell’Information System coinvolsero numerose grandi imprese dei diversi settori, a cominciare dalla decisione pionieristica della Eastman Kodak, che effettuò contratti di outsourcing dell’IS con IBM, Businessland e DEC.

La disintegrazione (verticale e orizzontale) delle attività d’impresa, specie nelle grandi conglomerate, era imposta all’epoca anche dalle carenze dovute a fattori strutturali che creavano sia elevati costi di gestione delle attività internalizzate, sia difficoltà di potere governare – con efficienza ed efficacia – la complessità aziendale. La disintegrazione era spesso anche indotta da fattori di cambiamento esterno (innovazioni tecnologiche, inasprimento della concorrenza) che richiedevano un ridimensionamento organizzativo, necessario per l’acquisizione di migliori posizionamenti competitivi.

Rispetto ad allora, l’attuale tendenza all’esternalizzazione è caratterizzata da un acceleramento dei ritmi di crescita unito alle diverse modalità di attuazione che ad essa si accompagnano. Le grandi corporation sono alla perenne ricerca di nuove opportunità di outsourcing e sono cambiati anche le tipologie di attività che vengono esternalizzate: non riguardano più solo le tradizionali attività del settore terziario (trasporti, distribuzione) oppure a fasi di lavorazione, generalmente, a tecnologia matura, ma si estendono a business process completi.

La pratica del business process outsourcing è relativamente recente: essa prevede l’esternalizzazione ad un terzo fornitore di un intero processo o di un’intera funzione. È una forma praticata essenzialmente dalle amministrazioni pubbliche, da imprese che offrono servizi finanziari e da imprese di trasporto.

Una forma di esternalizzazione più innovativa è il business benefit contracting, nella quale il fornitore si impegna ad offrire specifici benefici al business del cliente; la prestazione del fornitore è determinata proprio dalla sua capacità di creare benefici richiesti. In questo caso l’outsourcing prevede un bilanciamento dei costi e dei ritorni ed una ripartizione dei rischi tra cliente e fornitore all’intera supply chain, e, nelle imprese ad elevata tecnologia, anche alla ricerca e sviluppo.

Per quanto riguarda l’outsourcing della ricerca e sviluppo un esempio è l’azienda Alberissa, i cui servizi di ricerca e innovazione in outsourcing sono dedicati sia alle piccole e medie imprese – che non riescono a sostenere totalmente i costi ed il rischio della ricerca e sviluppo di soluzioni innovative/competitive -, sia alle grandi aziende come supporto e integrazione delle risorse interne in un contesto di ‘Open Innovation’.

L’innovazione permette alle aziende di essere presenti con successo sul mercato globale, integrando nei prodotti e nell’offerta aziendale:

  • nuovi materiali,
  • nuovi processi,
  • nuove metodologie.

Il confronto con professionisti esterni che collaborano con centri di ricerca ed università che operano in ambito internazionale fornisce un quadro più ampio delle soluzioni adottabili, garantisce l’accesso a soluzioni e tecnologie di frontiera, consente di beneficiare di una visione d’insieme (outlook) e continuamente aggiornata, permette di mettere a punto una strategia mirata ed aumenta la possibilità di successo.

I loro esperti sono in grado di fornire supporto e conoscenze nei settori tecnologici più d’avanguardia, assicurando la conformità alle norme internazionali e valutando la sostenibilità ambientale ed economica dei prodotti o processi sviluppati. Anche le forme di esternalizzazione sono significativamente diverse dal tradizionale rapporto acquirente/venditore ed il crowdsourcing è un’evidente testimonianza di quanto affermato.

Attraverso il crouwdsourcing infatti si affida lo svolgimento di attività della catena del valore (progettazione, soluzione a quesiti tecnici, realizzazione di un nuovo prodotto o di un nuovo servizio) all’esterno, alla “folla” delle comunità virtuali presenti sul web.

Alcuni siti hanno anche lo scopo di mettere in contatto imprese e professionisti. Ha contribuito, allo sviluppo di questi nuovi processi, la tendenza alla globalizzazione delle attività d’impresa che, per la ricerca dell’ubiquità del vantaggio competitivo, richiede proprio una maggiore attenzione da parte dei manager a non disperdere le risorse interne in attività che non contribuiscono ad accrescere positivamente il patrimonio conoscitivo cumulato in azienda, per canalizzarle verso le attività che meglio possono sviluppare le “vocazioni” imprenditoriali ed i core factor.

Le nuove forme di outsourcing, dando vita ad un sistema relazionale di scambi conoscitivi, possono offrire non solo i vantaggi di un ottimale controllo delle risorse, concentrandole sulle attività core, ma anche quelli di una maggiore possibilità di salire lungo la curva dell’apprendimento cumulato.

Le modalità di esternalizzazione

Esistono varie modalità di esternalizzazione, vari modi con i quali posso esternalizzare un attività.

  • Sell of: con questa pratica si vende per intero un’attività prima svolta nell’azienda; è un vero e proprio break up, si scarta un’attività per venderla ad un’altra impresa senza più curarla.
  • Spin off: l’impresa convince i suoi dipendenti a mettersi in proprio ed a svolgere autonomamente quell’attività che prima svolgevano nell’impresa stessa. Successivamente l’azienda l’acquista.
  • Split off: un’impresa viene divisa in due parti senza che tra le nuove imprese si creino rapporti di subordinazione. Questo è il caso di scissione di un’impresa in più imprese; accade spesso con le imprese diversificate conglomerali. Esempio: se un’impresa fa bottiglie di acqua minerale e vestiti ha la possibilità di scindere le due attività e le imprese rimangono autonome: non si crea alcuna interdipendenza tra le imprese che nascono da una scissione. Dunque lo split off è una scissione dell’impresa.
  • Equity carve out: questa modalità riguarda più che altro il capitale sociale. Una percentuale delle azioni della nuova divisione viene venduta per mezzo di un offerta pubblica di acquisto (OPA). Insomma, una percentuale delle azioni dell’impresa viene venduta al pubblico incarico (offerta pubblica di acquisto), mentre la parte rimanente viene trattenuta dall’impresa.
  • Management buy-out : è un caso particolare; molti lo confondono con lo spin off, ma non lo è. I manager di un’impresa che desiderano mettersi in proprio perché hanno comunque accumulato esperienze e conoscenze, ma non hanno le risorse finanziare per farlo, s’indebitano. Il più delle volte le banche entrano pure nell’associazione (non tanto in Italia, ma all’estero). Quindi i manager si indebitano, acquistano parte del capitale azionario dell’impresa e si mettono in proprio. Abbiamo dei casi di Manager buy-out: lo spin off della FAG. La FAG aveva contratto la Cuscinetti Umbria con la quale lavorava sempre per i cuscinetti a sfera. Successivamente la Cuscinetti Umbria si è separata dalla FAG (che attraversava un periodo di crisi) ed alcuni manager di quest’ultima si sono indebitati e hanno acquistato quote di capitale della Cuscinetti Umbria: cioè la quota di capitale della FAG nella Cuscinetti Umbria è stata acquisita dai manager della FAG. Questo è un caso di Manager buy-out. In verità nel momento in cui i manager si indebitano si parla anche di LBO, Leverage by out. Leverage di solito è il debito, il rapporto di indebitamento. Invece qui è inteso come il pacchetto azionario o dell’azienda o di una sua consociata, oppure di una controllata (nel caso FAG è di una controllata, la Cuscinetti Umbria).