L’organizzazione delle imprese è un fattore molto importante, che riguarda strettamente la produttività dell’impresa: una cattiva organizzazione ha un’incidenza molto elevate sulla cattività produttività dell’azienda, che potrebbe portare anche al fallimento della stessa.
Leggiamo nel dettaglio cosa si intende per organizzazione aziendale e come strutturarla in modo da renderla coerente all’attività dell’impresa. La prima domanda che bisogna porsi è se la struttura organizzativa dell’impresa sia giusta o sbagliata. Per rispondere ad un quesito così importante c’è bisogno di conoscere diversi fattori e di fare analisi accurate.
Innanzitutto bisogna partire da un’analisi sull’efficacia e sull’efficienza della configurazione delle unità organizzative, prima di analizzare i meccanismi di coordinamento. In via generale, per controllare i confini di un’unità organizzativa è necessario partire da un’unità di analisi più elementare di quella dell’unità presa in considerazione. Per analizzare le attività elementari ci si potrebbe spingere fino ai nuclei di attività che non sono separabili tecnicamente e le relative relazioni tra queste ultime, ma questo tipo di controllo avrebbe un costo elevatissimo unito a benefici decrescenti – quanto più ci si allontana dal livello di unità che si vuole controllare.
Le attività basilari possono essere caratterizzate da diversi gradi di incertezza, più o meno elevati e diversi gli uni dagli altri. Questa loro diversità nel grado di incertezza delle attività è un limite, una barriera alla loro aggregazione. Questo perché la prevedibilità (o la certezza) dello svolgimento di un’attività comporta un processo regolare, senza eccezioni, ed è un’attività che può essere governata in modo esteso tramite regole, programmi e procedure.
Al contrario, quanto più un’attività presenta eccezioni, tanto più richiede nuove soluzioni ad hoc, tanto più richiederà discrezionalità locale degli operatori. Ma perché questa differenza di organizzazione rende così difficile un’eventuale aggregazione?
I motivi nello specifico sono tre:
- le attività più programmabili, se svolte dalle stesse persone che dovrebbero svolgere anche attività poco programmabili, “scacciano” queste ultime dall’attenzione degli attori;
- le attività a forte aleatorietà ed intensità di ricerca richiedono un ambiente organizzativo peculiare:
- le attività non dovrebbero essere formalizzate e standardizzate,
- i compiti non dovrebbero essere divisi troppo chiaramente e precisamente tra singole persone,
- la valutazione dovrebbe avvenire sui risultati di lungo periodo ed essere integrata da valutazioni sulla professionalità,
- dovrebbe esservi scarsissima enfasi sulla punizione degli errori e molta sui premi per le innovazioni riuscite;
- il grado di incertezza delle attività influenza numerosi aspetti delle conoscenze professionali e tecniche e degli orientamenti cognitivi ed emotivi che consentono agli operatori di svolgere efficacemente.
Per questi motivi la separazione di attività con diversi gradi di incertezza in diverse unità genera vantaggi di apprendimento e di specializzazione: non solo è importante valutare le differenze nel grado di incertezza, ma anche l’intensità e l’importanza relativa delle fonti di incertezza nelle diverse attività.
Se queste fonti hanno effetti importanti che riguardano l’efficacia e l’efficienza complessiva dell’impresa vengono dette incertezze critiche. L’analisi di queste ultime è importante per l’assegnazione dei compiti di coordinamento ad un’unità piuttosto che ad un’altra. Il fatto che un’attività di trasformazione sia soggetta ad incertezze critiche comporta che sarà efficace assegnare a questa anche attività e compiti di coordinamento: questa attività potrà farsi carico di comunicare le nuove esigenze alle altre attività con costi minori rispetto alle altre.
Un fenomeno sempre più comune, complice la crisi che ha colpito il nostro Paese, è l’espatrio delle attività d’impresa. Le ragioni per cui ciò accade sono diverse: non si tratta solo di espatriare la manodopera dell’impresa, scegliendo stati in cui quest’ultima viene pagata di meno rispetto al nostro Paese, ma anche l’espatrio dei dirigenti nelle missioni internazionali.
Le missioni hanno duplici motivazioni, sia per l’adempimento di attività internazionali, sia per controllare la società, ma anche missioni brevi che hanno come scopo risolvere problemi o acquisire nuove competenze e conoscenze su attività specifiche.
L’espatrio ha notevoli costi che l’impresa però affronta perché i benefici che ne trarrà saranno poi doppi: l’espatriato parte con la missione di diffondere la conoscenza tecnica, unita alle politiche di gestione dell’organizzazione centrale; l’obiettivo con cui l’espatriato dovrebbe tornare è una conoscenza solidificata negli aspetti professionali del luogo di destinazione ed una migliore e più attuale visione globale dell’insieme.
Attualmente l’ottica d’espatrio è più incentrata sull’apprendimento più che sull’insegnamento. Sono sempre più frequenti le missioni brevi, che hanno come obiettivo avanzamenti più rapidi di carriera e lo sviluppo professionale. Uno dei fattori necessari per l’espatrio è caratterizzato dal fatto che le società controllate siano dirette da persone che hanno la fiducia dell’organizzazione, con esperienze e competenze nella cultura e nei valori della sede centrale.
La gestione internazionale del personale
Molte delle organizzazioni internazionali, anche le imprese più piccole, stanno creando un settore specifico per la gestione dei processi delle risorse umane in un contesto internazionale. Questo ambito viene indicato come Gestione Internazionale delle Persone, oppure Risorse Umane Interculturali.
Il ruolo del processo dell’espatrio può essere indispensabile per il successo e la continuità del processo d’internazionalizzazione. La selezione, la preparazione prima della partenza ed il sostegno durante il processo, svolte dalla Gestione Internazionale del Personale (GIP), possono contribuire al successo o al fallimento dei dipendenti in missione in terre straniere. La gestione delle risorse umane è una grande sfida nella gestione dell’espatrio.
Le imprese svolgono un ruolo decisivo affinché il processo dell’espatrio venga realizzato con successo. L’essenziale è che le organizzazioni abbiano consapevolezza delle modalità di attuazione del processo di trasferimento, non solo per garantire il successo del cambiamento, ma anche per trasmettere una maggiore sicurezza per il futuro espatriato che deve compiere la missione internazionale.
La politica dell’impresa dovrebbe prendere in considerazione:
- la storia ed i valori del processo dell’amministrazione aziendale,
- la selezione ed il processo dell’espatrio,
- la retribuzione ed i benefici,
- le spese di alloggio,
- trasporti e trasloco,
- i viaggi di ritorno al Paese di origine,
- l’assistenza medica,
- gli aspetti d’immigrazione (visti e dichiarazioni).
Per gestire un team multiculturale è necessario convivere con lo sconosciuto, comprendere nuovi comportamenti, pensieri, spesso diversi dai propri, principalmente sulla percezione e sul modo diverso di agire in situazioni simili.
La carriera internazionale e le sue sfide
La conoscenza della lingua del paese di destinazione è fondamentale per il successo della missione, perché la capacità di comunicazione permette un migliore adattamento dell’espatriato. Ulteriori aspetti analizzati dalle organizzazioni riguardano il profilo del professionista assegnato alle attività internazionali, la possibilità di acquisizioni di nuove culture e pratiche, la flessibilità e la capacità tecnica; tutti fattori importanti nel processo decisionale di selezione dei candidati.
Durante il periodo nel quale l’espatriato è al di fuori dell’organizzazione, la posizione viene ricoperta da un nuovo professionista, che al termine della missione dell’espatriato potrà trovare altri contratti vantaggiosi sia con l’impresa presso cui ha lavorato, sia in altre imprese ad essa connesse.
Una delle grandi sfide per la Gestione Internazionale del Personale sta nella capacità di attrarre professionisti, per la missione internazionale, che hanno una “mentalità globale”, cioè la capacità di apprezzamento, valorizzazione e gestione della diversità umana e culturale. Nei processi d’espatrio lo spirito di adattamento diventa parte cruciale dell’iter che porterà l’espatriato a portare a termine la missione: è l’unico elemento veramente essenziale perché la sua mancanza farebbe già fallire in partenza la missione. Quello che più attira questi manager, con l’indole da nomade, sono i grandi guadagni e la grande competenza che acquisiranno sul campo.
Le politiche per l’espatrio
Andiamo meglio a comprendere quali sono i vari step che precedono l’espatrio, che possono così riassumersi:
- il processo di selezione,
- la formazione,
- il monitoraggio di adattamento e le compensazione.
La selezione dei soggetti che verranno espatriati è molto accurata, data l’importanza stessa dell’espatrio e dei soldi necessari per realizzarlo: il candidato dev’essere il migliore per evitare problemi, come un rientro anticipato a causa dell’incapacità di adattarsi.
Considerando i costi abbastanza elevati molte imprese stanno riducendo questi periodi di permanenza all’estero, che tradizionalmente erano da uno a tre anni, per periodi sicuramente più brevi. L’analisi selettiva dovrebbe considerare:
- la percezione della capacità tecnica degli espatriati,
- fattori interculturali come adattamento,
- esigenze familiari,
- competenze linguistiche.
Un fatto interessante è che le imprese di solito selezionano più uomini che donne per le missioni internazionali, poiché le donne hanno più vincoli rispetto agli uomini, in funzione del lavoro e delle responsabilità personali.
Uno dei principali punti da analizzare è inerente al profilo dell’espatriato dal punto di vista interculturale, soprattutto con riferimento al controllo psicologico, alla fiducia in sé stesso, alle relazioni con persone di diversità culturale ed alla capacità di comunicazione.
Alcuni pratiche che influenzano positivamente le prestazioni degli espatriati:
- la designazione di un professionista nel paese di origine, con attributi per monitorare le attività dell’espatriato;
- la denominazione di una area specifica per sostenere lo sviluppo della carriera durante la missione internazionale;
- il contatto costante con l’organizzazione di origine e dell’espatriato, puntando sul collegamento tra le parti.
Per quanto riguarda la formazione si dà molto peso e si pone l’attenzione sui programmi di formazione culturale, il cui obiettivo è di creare consapevolezza nelle differenze culturali esistenti e nel modo di vivere nel Paese di destinazione. Imparare la lingua locale è anch’esso un fattore essenziale, anche a livello di base, proprio per facilitare la qualità del primo contatto con il popolo locale.
L’errore più grande che si può compiere in una procedura di espatrio è quello di pensare che le persone siano uguali in tutto il mondo. La mancanza di formazione è una fra le più frequente cause dei fallimenti nelle missioni internazionali.
L’espatriato deve avere conoscenza del paese di destinazione:
- la sua cultura,
- i valori,
- il modo di vivere,
- l’economia.
Il programma di formazione deve contenere alcuni elementi essenziali:
- allenamento con il linguaggio,
- formazione culturale,
- amministrazione della vita personale e familiare: è una delle più frequenti cause di fallimento del processo d’espatrio. Lo shock culturale che ha come conseguenza il non adattamento è il più grande motivo. Inoltre, un aspetto rilevante è quando la coppia ha una carriera indipendente. Per accontentare la coppia, alcune organizzazioni formalmente o informalmente cercano di aiutare il coniuge ad inserirsi nel mercato del lavoro. Possono in alcuni casi inserirlo all’interno della propria organizzazione, anche se questa non è pratica comune;
- rimpatrio: i programmi di rimpatrio sono progettati per aiutare gli espatriati al loro ritorno al Paese di origine e sono tesi a favorire adeguamenti alla loro vita per tornare in patria. Spesso gli espatriati ritornano nel proprio paese con più competenze e responsabilità, in funzione della loro attività ed esperienze acquisite con la missione internazionale. Tuttavia solo una piccola parte di essi vengono promossi, in altri casi l’espatriato si sente demotivato, in alcune ipotesi chiede il licenziamento poiché non vengono soddisfatte le proprie aspettative ed in questi casi le aziende sono danneggiate.
Il contratto psicologico
Una condizione che non può essere assolutamente ignorata, per quanto concerne l’espatrio, è il fattore psicologico. Per questo esiste il cosiddetto contratto psicologico, che non è un contratto di lavoro, ma una relazione basata sulla capacita intuitiva in cui il lavoratore ed il datore di lavoro firmano congiuntamente, dove ci sono le norme che stabiliscono i diritti e gli obblighi di ciascuno.
Il contratto psicologico è inerente alle aspettative che il collaboratore suppone di dover ottenere dal datore di lavoro, un contratto non-scritto e influenzato da valori personali. Ad esempio, un collaboratore può avere l’aspettativa di essere promosso perché sta svolgendo un buon lavoro, al fine di soddisfare il bisogno di riconoscimento. L’organizzazione ha l’aspettativa che il collaboratore si sforzi per fare un buon lavoro al fine di contribuire allo sviluppo della società.
Le promesse reciproche implicano che il dipendente possa ritenere che esista da parte dell’impresa l’obbligo di comportarsi in un certo modo, la stessa percezione ha l’impresa in relazione al dipendente. Seguendo questo ragionamento le promesse contemplate in un contratto psicologico diventano aspettative di comportamento in funzione e uno dell’altro e si inseriscono nella più grande teoria dello scambio sociale, che considera il sistema di azioni reciproche delle due parti. La reazione di una parte influenzerà la reazione dell’altra per rispettare l’obbligo di mantenere un rapporto equilibrato.
Il contratto psicologico consiste in una relazione volontaria ed è importante che sia in grado di raggiungere gli obiettivi di reciproca dipendenza. Dato che ogni persona è unica nel suo genere, anche il contratto psicologico ha come peculiarità essere unico e individuale. Nonostante queste caratteristiche, può essere diviso in tre forme:
- contratto psicologico transazionale,
- relazionale,
- bilanciato.
- Nel contratto psicologico transazionale predominano gli scambi tangibili con l’obiettivo economico. Il coinvolgimento di entrambe le parti, lavoratore e organizzazione, è limitato. Il motore del rapporto è la condizione economica, con durata a breve termine e limitato coinvolgimento personale;
- Nel contratto psicologico relazionale le condizioni contrattuali tendono ad essere dinamiche, alternandosi ed adattandosi nel modo in cui si sviluppa la relazione. Con l’aspettativa di lunga durata ed il coinvolgimento elevato di entrambi, l’influenza del lavoro si riflette nella vita personale, compresi gli scambi di benefici monetari e non monetari;
- Nel contratto psicologico equilibrato vengono a coesistere un mix di scambi economici e socio-economico, dove l’implicazione emozionale rimane alta ed impegnata con l’organizzazione, ma non influenzerà negativamente la vita personale. Lo scopo del contratto è la percezione psicologica d’obbligo reciproco, ma anche la percezione di come sono stati raggiunti questi risultati. La percezione di obbligazioni definisce i parametri di scambio, mentre la percezione di conformità o non conformità con gli obblighi mostra il comportamento di questi scambi. Se una parte ritiene che l’altra non adempia alle sue promesse, si verifica il rompimento del contratto psicologico, anche se uno adempie al suo obbligo si verifica lo squilibrio del rapporto.
Le obbligazioni scambiate e la percezione di una violazione del contratto da parte dell’organizzazione sono tra loro strettamente legate. La percezione di questa violazione, infatti, porta i lavoratori a pensare di avere meno obblighi nei confronti dell’organizzazione.
In relazione al processo d’espatrio l’adozione del contratto psicologico, anche se di natura soggettiva, viene soprattutto definita dal punto di vista del dipendente, il quale ha delle aspettative sul modo in cui sarà sostenuto prima, durante e dopo l’espatrio. Il processo d’espatrio è un processo costoso per le organizzazioni, poiché le imprese lo devono affrontare come un progetto.
I rapporti con l’espatriato e la sua nuova realtà devono essere collegati formando una base per un contratto psicologico tra l’impresa e l’espatriato. Gli aspetti come retribuzione e strutture in relazione alla nuova località, il supporto familiare per gli studi oppure il lavoro, processo di trasloco, l’alloggio e l’adattamento, sono aspetti che devono essere analizzati con attenzione.
Ma quali sono i benefici
Ogni paese ha norme diverse, la compensazione diventa una delle aree più complesse per la gestione Internazionale del personale. In generale le imprese fissano i salari dello stesso importo a quelli pagati nel Paese di destinazione o leggermente superiori.
A causa dei trasferimenti addizionali generalmente può essere aumentato del 15%, ma questo varia in relazione all’accordo tra impresa e collaboratore. I benefici possono variare notevolmente da Paese a Paese.
L’espatrio rientra nel grande piano dell’internazionalizzazione delle imprese, dove gioca un ruolo fondamentale anche l’esternalizzazione della produzione. Il piano di compensazione degli espatriati dev’essere attraente come motivazione e coerente con la realtà del paese ospitante.
Il compenso deve:
- fornire incentivi per il dipendente per accettare di lasciare il Paese;
- permettere che il livello e la qualità della vita sia uguale al Paese di origine;
- essere in grado di fornire assistenza medica di qualità;
- valutare la tassazione nel Paese di origine e di destinazione;
- garantire un’istruzione di qualità ai figli, se necessario.
Un aspetto importante è la remunerazione. I valori di mercato delle remunerazioni variano enormemente da Paese a Paese ed è ancora più complicato se si considerano le variazioni dei tassi di cambio, le differenze di potere d’acquisto degli espatriati. La politica di remunerazione dei dipendenti espatriati è una grande sfida per le imprese globali.
La remunerazione può essere definita in due modi:
- il primo sistema chiamato di Home Based Pay, ossia basato sulla moneta locale: il sistema confronta il potere d’acquisto del Paese di origine e si identifica con quello del Paese ospitante;
- il secondo sistema di remunerazione, Host Based Pay, è una compensazione conforme alle norme del Paese di accoglienza e alla loro tassazione e ha come conseguenza l’inclusione nel programma dei benefici di quel particolare Paese.
Tutti i fattori dovrebbero essere analizzati nel processo d’espatrio, evitando così i rischi lavorativi e fiscali che questo processo può determinare.