CCNL, cosa è il Contratto Collettivo Nazionale Lavoro

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CCNL è un acronimo che sta per Contratto Collettivo Nazionale Lavoro. Con questa espressione viene indicato lo strumento principale in grado di regolamentare le organizzazioni sindacali e le associazione di categorie.

In parole ancora più semplici, quando ci si riferisce al Contratto Collettivo Nazionale Lavoro, si fa riferimento alla relazione che esiste tra le organizzazioni che rappresentano gli imprenditori (ad es. Confindustria) e quelle che rappresentano i lavoratori (qualsiasi sindacato).

Un po’ di storia

L’introduzione del contratto collettivo nazionale di lavoro in Italia si ebbe, durante il ventennio fascista, con la promulgazione della Carta del Lavoro, approvata dal Gran Consiglio del Fascismo nel 1927. La Carta rendeva inoltre vincolante l’efficacia dei contratti, siglati dalle corporazioni dei lavoratori (corporativismo) nei confronti di tutti i lavoratori.

Con la nascita della Repubblica Italiana nel 1871, un articolo della Costituzione (precisamente il 39) stabilì il principio che la regolamentazione dei rapporti di lavoro potesse essere regolata da contratti collettivi stipulati a livello nazionale; la loro vincolatività erga omnes (cioè anche per i non iscritti alle organizzazioni sindacali), però, era subordinata ad una forma di riconoscimento giuridico.

Ma la contrattazione collettiva era debole e statica, questo perché prima degli anni ’60 il sistema di relazioni industriali dell’Italia era centralizzato e prevalentemente di matrice politica. La posizione dominante spettava ai contratti nazionali stipulati dai vertici del sindacalismo confederale. Questi hanno stabilito quote minime contributive e gabbie salariali a livello nazionale lasciando così pochissimo spazio di intervento ai livelli inferiori di contrattazione collettiva, rappresentati dai contratti collettivi di categoria e aziendali.

Il boom economico del decennio conferì maggior peso e incisività ai lavoratori e dunque ai loro sindacati, favorendo una progressiva decentralizzazione del sistema sindacale italiano e dunque della contrattazione collettiva. Si inizia a respirare aria nuova proprio a partire da quel periodo.

I decenni successivi, quelli degli anni ’70, ’80 e ’90 hanno visto momenti di buia crisi alternati a risalite economiche, fino ad arrivare agli anni 2000 in cui l’evoluzione del sistema contrattuale e delle relazioni industriali è diventata difficile da decifrare: da un lato era auspicabile un ridimensionamento del ruolo del contratto nazionale a favore di una valorizzazione della contrattazione aziendale, ma i Patti per l’Italia del 2002 hanno sostituito la concentrazione con il “dialogo sociale” (ben poco incisivo) e hanno trasferito i rapporti tra i sindacati e lo Stato su un piano più specifico.

Il contratto collettivo e quello individuale

Oltre al già citato contratto collettivo, esiste anche il contratto individuale. Tramite quest’ultimo il lavoratore decide di prestare la propria attività lavorativa alle dipendenze del datore di lavoro in cambio di una retribuzione. Questo contratto individuale può essere di diversi tipi, i cui principalmente conosciuti e noti sono:

  • a tempo determinato,
  • a tempo indeterminato.

Queste due diverse tipologie di contratti sono legate tra loro e generalmente è il contratto collettivo a regolare la propria efficacia su quello individuale. Tuttavia c’è un però: il datore di lavoro non è assolutamente obbligato ad applicare il CCNL del settore merceologico se non è iscritto ad un’organizzazione datoriale di categoria. Le cose invece non cambiano sulla retribuzione: infatti il datore di lavoro dovrà sempre riconoscere una retribuzione che non dev’essere inferiore ai minimi tabellari del CCNL di settore.

I cambiamenti del CCNL

Negli anni il contratto collettivo ha subito diverse variazioni, fino a diventare quello attuale. Viene definito contratto collettivo di diritto comune, ciò significa che è soggetto alle norme di diritto comune in materia contrattuale del Codice Civile. Questa tipologia di contratti nasce sempre dalla negoziazione privata tra le parti, quindi non riguarda la totalità dei lavoratori.

Per quanto concerne il contenuto del contratto, si possono distinguere due clausole diverse:

  • clausole normative: queste clausole hanno il compito di disciplinare i rapporti di lavoro all’interno della categoria interessata, si distinguono a loro volta in parte normativa che si occupa dell’inquadramento (le ferie, gli orari di lavoro, permessi, congedi etc) e parte economica, che riguarda le paghe minime e le varie voci della retribuzione;
  • clausole obbligatorie: riguardano invece i rapporti tra le parti che si stanno contrattualizzando;

Tra le clausole obbligatorie ci sono:

  • clausole obbligatorie di tregua sindacale: i sindacati si impegnano a non organizzare, per esempio, scioperi per un tot di anni;
  • clausole istituzionali che riguardano la costituzione di nuovi organi o istituti particolari;
  • clausole di amministrazione del contratto: riguardanti la creazioni di commissioni paritetiche o collegi di conciliazioni per affrontare situazioni particolarmente delicate legate per l’appunto al CCNL di categoria.

Il CCNL per i lavoratori

Ma che rapporto hanno i lavoratori con il CCNL? Innanzitutto bisogna ricordare che tra le varie fonti che regolano il lavoro esiste una ferrea gerarchia:

  1. al primo posto vi sono i principi generali del diritto,
  2. al secondo troviamo la Costituzione,
  3. al terzo posto le leggi nazionali,
  4. in ultimo i contratti collettivi e i contratti individuali.

Questo comporta che ciò che viene previsto dal CCNL ovviamente non potrà mai essere in contrasto con quanto espresso dalla nostra Costituzione.

Esiste però un’azione, chiamata derogabilità in melius: il contratto collettivo può apportare dei miglioramenti e dare così al lavoratore una più favorevole condizione. Visto che si è sempre carenti con le buone notizie e mai con le cattive, ecco una serie di esempi di miglioramenti che possono essere apportati con il CCNL:

  • le ferie: per legge spettano almeno 4 settimane di ferie all’anno, ma il CCNL può stabilire anche un periodo più lungo (in base alla categoria e al tipo di lavoro svolto) o può anche prevedere una maggiorazione aggiuntiva per le ore di lavoro straordinario oltre un certo tot mensile;
  • stesso discorso vale per i periodi di malattia o per le maternità.

Come spiegheremo anche più in basso nel post, così come fa parte del CCNL la derogabilità in melius, fa parte dello stesso contratto anche l’inderogabilità in peius. Ciò significa che chi ha un contratto collettivo per una data categoria non potrà avere uno stipendio inferiore rispetto a quanto previsto. Queste due variazioni possibili fanno parte dell’efficacia oggettiva del CCNL.

Il CCNL per le aziende

Non sono molte le aziende che decidono di utilizzare il contratto collettivo nazionale del lavoro, anche se in crescita. Nel caso in cui un’azienda decidesse di optare per questa tipologia di contratto, questo avrà valore tra i lavoratori in quella data azienda per cui lo scopo sia quello di adattare la disciplina generale alle realtà produttive specifiche. Il CCNL si colloca a un livello gerarchico più alto rispetto a quello aziendale.

Quali sono i CCNL nazionali

Ecco un elenco di tutti i contratti collettivi nazionali e i settori di appartenenza.

  • Agricoltura ed Allevamento
  • Alimentari
  • Chimica
  • Credito e assicurazioni
  • Edilizia e legno
  • Enti e Istituzioni Private
  • Enti Pubblici
  • Marittimi
  • Meccanici
  • Poligrafici e Spettacolo
  • Terziario e Servizi
  • Tessili
  • Trasporti

Queste appena elencate sono le macro categorie sotto le quali si trovano i vari tipi di contratto. Ad esempio, se siete insegnanti il vostro contratto sarà Scuola – Personale Docente e farà parte di quello sugli Enti Pubblici, se invece siete autisti rientrerà in quello dei Trasporti e così via.

Lo scopo del CCNL

I contratti collettivi vengono stipulati tra soggetti e garantiscono in modo inderogabile le clausole e le condizioni dei contratti futuri dei singoli lavoratori, integrando in questo modo il principio di tutela del lavoratore previsto dalla nostra Costituzione. Ma qual è lo scopo di questi contratti collettivi?

Il loro fine è quello di garantire delle condizioni valide per tutti i lavoratori e che siano obbligatorie per i datori di lavoro. Questo è un modo per evitare la concorrenza tra i datori di lavoro: potrebbe infatti capitare che qualcuno di loro applichi condizioni salariali inferiori rispetto ad altre, diminuendo così il costo del lavoro e facendo una sleale concorrenza con gli altri del settore oltre che ledendo in prima persona i dipendenti.

Stabilendo i contratti collettivi tutte le aziende che fanno parte di una determinata categoria sono consapevoli che usando quel determinato contratto nessuno potrà offrire al lavoratore uno stipendio inferiore rispetto a quello di un’altra azienda.

La concorrenza non esiste solo tra le aziende e datori di lavoro, ma anche tra lavoratori. Questi ultimi infatti potrebbero accettare, pur di ottenere un lavoro, anche una retribuzione non all’altezza rispetto al lavoro svolto. Purtroppo questa è una realtà davvero molto diffusa ed è anche uno dei motivi per cui i salari diventano sempre più bassi: sempre più persone accettano lavori sottopagati pur di averne uno e abbassano così il costo del lavoro.